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di Giuseppe Felici rossointoccabile

 

il potere della Parola

 

 

Zona negativa. Un regno in costruzione.

Il viaggio è più semplice che all'andata.

Il dio solare, aiutato dai maghi asgardiani, buca lo spazio e salta nel nuovo mondo. Direttamente nella sua nuova casa.

Durante la sua assenza non è successo nulla.

È il difetto del delirio di Atun che ha investito il suo popolo. Ognuno nella sua casa, ognuno nel suo regno materiale.

L'esercizio quotidiano del potere perde in fretta il suo sapore e la materialità corrompe. Sottilmente.

Un dio è per sua natura dispotico tra i mortali. Conosce meglio, e da più tempo, gli oscuri segreti del cosmo.

Inoltre, quando ogni suo desiderio è legge poco importa quanto siano alti e luminosi i suoi desideri.

È un despota.

La sua presenza non assicura alcun progresso, in compenso, in assenza del despota, la società deprime, stagna. O si ribella.

Il dio solare è ancora l'unico, del suo popolo, ad intuire questa verità. L'intuisce soltanto, non l'ha ancora compresa. È come un rumore fastidioso di cui non ha individuato l'origine.

Qui il rumore è più forte, si trova nella sua dimora, nel suo luogo di potere. Ma il suo potere non aumenta nel giusto modo.

Entra nella galleria. Al muro i ritratti di tutti i suoi compagni.

Passando li sfiora uno dopo l'altro. - Devo parlarvi. -

Attende. Non molto. Il sistema è tarato per fingere la contemporaneità. Il salto temporale non può essere eterno, ma ha una tolleranza di alcune ore. Non affidabile ma comodo. Nell'arco di una mezz'ora un sistema quasi perfetto.

Racconta la sua storia. La nostalgia di casa. Come ha scoperto che il loro regno abbandonato era stato usurpato da una diversa specie divina.

Interi pantheon di kronan, coalizzati per conquistare i regni divini della Terra.

Racconta di come è stato catturato, torturato. Della sua fuga rocambolesca.

Della battaglia in Hel.

Della battaglia imminente, di portata escatologica. La realtà cambierà, qualunque ne sia la fine.

Gli dei dell'Egitto esitano. Nella loro storia le guerre escatologiche non sono state frequenti.

Ne conoscono il concetto, sono dei, il sapere è fra le loro prerogative, ma non tutti lo comprendono fino in fondo.

L'esperienza non si surroga.

Hanno conosciuto, però, altri eventi escatologici, possono capire l'importanza del momento.

Malgrado ciò non tutti sono disponibili. Alcuni hanno dovuto abbandonare i loro mondi, la transizione è stata quasi completa.

Sono i meno bellicosi, amano questo cosmo così povero di dei guerrieri.

Altri non riescono a lasciare mondi in cui sono supremi, temono il confronto coi loro pari. La materia li ha quasi del tutto sopraffatti.

 

Alfheim

Il grigio pellegrino cammina nei boschi del paese degli elfi. In questo mondo tutto è luce e gioia. Tranne per quello che non lo è.

Gli elfi di questo mondo non sono dispettosi come quelli celti. Sono più austeri e pericolosi. Meno inclini allo scherzo.

Il grigio pellegrino lo sa bene. Ne ha gabbati parecchi a suo tempo. E più d'uno cova vendetta, anche fra coloro che hanno intuito o saputo qualcosa delle sue altre identità. Gli elfi sono creature complesse e le loro menti sono difficili da comprendere per dei e mortali.

Ma oggi non è alla ricerca degli elfi e quindi è arduo per loro cercarlo.

Ha fretta. Anche lontano dal suo luogo di potere egli sa.

Sa, ad esempio, che gli eserciti si stanno schierando.

Pensiero e Memoria hanno sussurrato questa verità al suo orecchio.

È, quindi, con estremo fastidio che sente la voce che proviene da sotto il ponte che si appresta ad attraversare.

- Chi desidera attraversare il mio ponte? E cosa ti porta sulla mia casa?-

Dovete sapere che i troll che abitano sotto i ponti sono creature fastidiose e pericolose.

Piuttosto abili in una lunga serie di spiacevoli attività.

La prima, dal mio punto di vista la più spiacevole (ma diverse sono le opinioni), è quella di divorare i viaggiatori malaccorti.

È sicuramente uno dei maggiori svantaggi dei ponti.

Non necessariamente il troll è affamato, e non tutte le creature possono essere divorate. Neppure da un troll.

Ora, se non siete creature particolarmente appetitose non fatevi prendere da un falso senso di sicurezza. Un troll può salirvi sulle spalle. È ben difficile liberarsi di un troll che vi si attacca addosso. Si narra che Thor, il signore di Asgard, sia riuscito a scrollarsi di dosso un troll particolarmente resistente. Ma si narrano infinite avventure che riguardano Thor, e se anche fossero tutte vere poco importerebbe, perché nessuno riesce ad eguagliare gran parte delle cose che fa Thor.

Infine un troll può divorare la vostra vita, fino a sostituirsi a voi. E questo non è un destino troppo crudele per alcuni.

In ogni caso un troll ha bisogna di una scusa per attaccarvi.

Intanto non rispondere alle sue domande. Inoltre sbagliare le risposte. Meglio giocare d'anticipo.

- Mi chiamo Barbagrigia, come chiunque può vedere. E cerco conoscenza, cosa che qui, mi pare, è ben rara. -

Sempre meglio presentarsi. Ma i nomi sono oggetti di potere. Meglio stare attenti a chi li consegniamo. E una sfida è sempre meglio lanciarla che riceverla.

Ora, nel non consegnare il proprio nome Barbagrigia è un esperto. Buona parte delle storie che parlano di lui lo presentano con un altro nome. Al punto che a volte, vuoi perché è un furbo che intorbida le acque, vuoi perché non tutti i narratori hanno la stessa intelligenza, si attribuiscono a lui storie di altri.

Ma si sa. Le storie nascondono la verità sotto verità più profonde.

- Sei ben scortese e mi fai venir voglia di uscire dalla morbida fresca ombra sotto il ponte. Ma prima di darti la conoscenza che voglio vediamo se posso darti quella che cerchi. Una domanda per una domanda. Venni qui in cerca d'oblio e il troll se ne andò indossando le mie vesti. Chi sono? -

- Vuoi giocare al mio gioco. Mia è la metà più dolce. La più bella prende il resto. Chi sono? -

- Il gioco è mio, tant'è che l'ho proposto. Mi accorgo ora che sarà una partita difficile. Aspetto nel buio che violi la mia casa e poi allungo le mani. Chi sono? -

- Se il gioco fosse veramente il tuo potresti fare di meglio. Li irritai e ne feci uno. Quando cercò vendetta li dispersi. Chi sono? -

- Eppure è il gioco che mi sono scelto, vuol dire che ho già vinto delle partite. Ho gambe lunghe ma sono pigro. Preferisco cavalcare. Puoi impedirmelo? -

Ma Barbagrigia si distrae, si volta di scatto, fissa dietro gli alberi. Poi scuote la testa. Come se la coda dell'occhio avesse percepito l'Osservatore che lo sbircia invisibile ma la vista diretta non potesse vederlo. Poi gira la testa nella direzione opposta, uno sguardo deciso ma breve.

Il sorriso sul suo volto segnato è cambiato. Pochi possono vederlo sotto l'ombra del cappuccio ma è così.

- Mio figlio l'ha fatto e il suo avversario era un troll di terra. E c'è ben poco di ciò che fa mio figlio che non posso migliorare. Ho dato il respiro e la vista, il corpo del mio miglior amico e il mio figlio migliore per crescere ed andare avanti. Ora passerò sul ponte, per cercare la conoscenza che qui non posso cogliere, fermami se osi. Chi sono? -

Da sotto il ponte non giunge suono. Il vecchio avanza e passa sul ponte e si avvia per la sua strada.

Parecchi veli sono diventati più trasparenti in questi momenti, ma tutti fingono che così non sia, tranne il troll che resta al suo posto, tremante, molto dopo che il vecchio si è allontanato.

 

Midgard. Quella piccola parte che è ancora pienamente parte dei nove regni.

In questo luogo il tempo si è, in un certo qual modo, fermato. Qui la magia è forte anche in virtù del fatto che non è stata abbandonata. Questo permette una vita più semplice.

Non è l'unica differenza tra questo specifico “qui” e i due luoghi che separa, ma non ce ne sono molte altre.

Per questo è quanto meno strano che la donna che è appena entrata in questo regno, attraverso strade che non tutti sanno percorrere, viaggi da sola.

Evidentemente, almeno per quelli che riescono a vedere la grazia che si cela dietro il suo aspetto da mendicante sformata, non ritiene di aver bisogno di protezione.

La realtà è estremamente fluida in questo interregno, riflette spesso ansie e aspettative dei mortali di Midgard.

Sarà per questo che la donna incontra quasi subito quattro straccioni, briganti e ladri di strada, che non vanno molto per il sottile, quando si tratta della loro attività.

Ma quando fermano una vecchia mendicante sformata, un po' puzzolente e per nulla invitante cosa dovrebbero mai fare? Restare acquattati in attesa di una preda un po' più succosa.

Se non fossero malvagi e vogliosi di far del male agli altri probabilmente lo farebbero.

Invece saltano fuori dai loro nascondigli e cominciano a spintonare e inseguire la vecchia.

La gettano a terra, attendono che si rialzi per girarsela l'un l'altro. La pungolano con la punta delle daghe.

La strattonano per il pesante sacco di iuta che la ricopre e che dovrebbe resistere e invece si apre. Non è l'unico mascheramento, indossato dalla dea, che si apre. L'Osservatore, nella sua infinita saggezza, distoglie lo sguardo. Poche cose possono far distogliere lo sguardo ad un Osservatore.

Quando, pochi istanti dopo, Freya si ammanta nuovamente di tutti i suoi mascheramenti lascia sul prato cinque larve frignanti. Hanno Visto.

Per pochi istanti hanno provato l'estasi visiva della piena maestà di una dea della fertilità che indossa il suo vero aspetto e brandisce fino in fondo i suoi attributi.

Pochi istanti che sanno irripetibili gettano una disperazione infinita anche in animi abbrutiti come i loro.

Difficilmente potranno mai trovare la forza di rialzarsi.

 

Un mercato da qualche parte in Arcadia.

Questo territorio mitico è sotto il controllo diretto del dio Pan, un luogo idilliaco in cui il tempo sembra non esser mai passato.

Luogo ideale per svolgervi uno dei più fiorenti mercati perenni in cui dei e mortali commerciano per lo più concetti essenziali. Creature elementali. Costrutti animati. Un mercato, insomma, come tutti gli altri.

Da ogni parte le grida dei venditori incensano le merci, intervallate e spesso coperte dalle risa degli avventori che passando tra le bancarelle colme di cibo e bevande inebrianti. Il bimbo biondo seminudo dai boccoli dorati si avvicina svelto ad un banco e, a scanso di equivoci, è un giovanotto robusto e aitante, non molto più vestito, coperto da una pelle di somaro, che alza la coppa di vino alle labbra.

Ma è un corpulento ometto vestito di nero, con tanto di bombetta che si allontana dal banco.

L'ometto si accoda a un gruppo, qualche poeta, un po' di ninfe, pastori e fauni. Insomma un gruppetto comune, siamo nell'Arcadia, in fondo.

Passa qualche ora sbevazzando mentre i poeti si sfidano, passandosi l'un l'altro un bastone. Poi bevono, dimenticano la sfida precedente e ricominciano. Non vince mai lo stesso.

L'uomo con la bombetta, a un certo punto si scuote, guarda in direzione dell'Osservatore. Non sembra vederlo, si distrae, guarda in un'altra direzione. Di certo sa di essere osservato, anche se non riesce ancora a percepire da chi.

Poi si alza, come se si fosse svegliato improvvisamente da un sonno.

 

La Volta. Armeria.

Un carcere per super-umani, per quanto ben protetto dai più aggiornati sistemi tecnologici nulla servirebbe senza raffinate protezioni magiche. Per quanto non diffusi quanto gli inventori di gadget tecnologici e i costruttori di armi futuribili fai da te, maghi più o meno dilettanti, piccoli demoni senza casa e mezze tacche che più o meno casualmente entrano in possesso di costrutti magici al di la delle loro capacità permeano la comunità super-umana su entrambi i fronti.

Ma i maghi veramente buoni sono pochi, contorti e difficili da rintracciare, gli dei seguono logiche tutte loro e dei demoni non ci si può fidare. Questo è un universo in cui, generalmente, le entità benefiche hanno la discutibile abitudine a stare nell'ombra.

Malgrado ciò, quando Loki penetra le difese dell'armeria incontra una certa resistenza.

Disattiva l'allarme un istante nel passato e si dirige verso lo scaffale dei costrutti magici.

Accarezza con una certa voluttà alcune pietre rosso sangue che cercano di rubargli l'anima, passa il dito per saggiare il filo di una spada apparentemente arrugginita ed allunga la mano verso il pesante piede di porco che geme di piacere nel riconoscere il suo vero padrone.

Lo sostituisce con un'illusione solida e slitta fuori da quel mondo, lungo vie che non è dato ai mortali percorrere.

Poi entra nelle celle della Squadra di Demolizione, una dopo l'altra, con un dito a coprire il naso e la bocca, in un gesto conosciuto universalmente e ripete la stessa operazione.

Sostituisce il vero con il falso.

È parte della sua funzione, cosa che gli riesce sempre bene.

Ma appena ha in mano la staffa il Demolitore da un chiaro esempio di quanto sono gravi i suoi problemi intellettivi.

Infatti ridona i poteri ai suoi collaboratori poi cerca di attaccare Loki.

Il quale, chiaramente, non si trova dove appare.

Colpendo l'aria il Demolitore si sbilancia eppure riesce a mantenere l'equilibrio. Errore che viene corretto da una palla da demolizione che lo colpisce in testa, facendolo affondare in un piccolo cratere che si apre sotto di lui. La violenza del colpo.

- Mi chiedo spesso... - il tono del dio degli inganni non è più sprezzante del solito, sembra che parli a qualcuno attaccato sotto le sue suole, qualcuno di veramente indesiderato e indesiderabile - … perché non mi limito ad offrire questo oggetto a qualcuno di più intelligente e più utile. -

Intanto Piledriver ha caricato L'Uomo Assorbente, ricevendo un colpo in faccia che lo proietta attraverso tre pareti.

I quattro si riorganizzano e si preparano ad attaccare con un minimo di coordinamento, ma si trovano immobilizzati contro i muri, sospesi a pochi millimetri dal suolo.

- Siete carne da cannone e quest'uso faremo di voi. - Loki produce un suo doppio, poco più che comunicativo e si avvia lungo le strade dei mondi con l'Uomo Assorbente, che ha toccato la barra del Demolitore, il doppio si volta verso i suoi 4 prigionieri. - Vediamo cosa si può fare con la pallida imitazione di un cervello che avete in testa. -

 

Regno di Agamotto. Da qualche parte nel multiverso.

Anche per un dio, anche un dio non certo di secondo piano come lui, l'ingresso su questo piano dell'esistenza non è affatto facile.

Intanto bisogna scoprire dove si trovi. Del resto il sapere è il primo dei poteri che insegna Agamotto.

Ma tutte le storie appartengono ad Ananse, quindi non è stata questa la difficoltà.

Il ragno nero avanza sulla pianura brulla costellata di sparuti funghi giganti e rocce isolate.

È molto più di quanto si aspettasse. Evidentemente quel mondo non gli è del tutto interdetto. Pur essendo uno dei maggiori imbroglioni dei regni divini non è del tutto malvoluto nel regno della conoscenza. Non gli è del tutto invisibile ciò che si trova sulla brulla terra.

Affina un po' la vista e pronuncia alcune terribili parole di potere e il terreno si copre di una fitta erba rossa. Stiracchia le zampe chitinose e assume la forma di un vecchietto magro e piccolo, con un completo nero e un cappello porpora. Una piuma di pavone che spunta dal nastro.

Sopra uno dei funghi giganti compare un grosso bruco verde con il boccaglio di un narghilè in bocca.

Un altro boccaglio ondeggia a portata di mano del dio-ragno.

 

Casa di Fratello Voodoo. Haiti, non molto distante dalla devastata Port-au-Prince

Il Baron Samedì è visibilmente ubriaco. Quindi al massimo del suo potere.

La parte di lui che è ancora Jericho Drumm è anche ubriaca di potere. Condividere la potenza e la presenza di un dio è un'esperienza che può cambiare per sempre anche il mago più esperto.

La capacità di vedere cose straordinarie da un punto di vista che mai aveva neppure osato immaginare.

Ma non è la prima volta che prova cose del genere, anche se non era mai stato cavalcato da Papa Guede, quindi si volta in una direzione che solo gli dei possono percorrere e si trova in una stanza diversa. Non molto diversa, ad un osservatore superficiale apparirebbe la stessa stanza. Qualche quadro è spostato, qualche angolo è un po' più ampio, ma sostanzialmente la stessa stanza.

Baron Samedì estrae da una sacca alcune candele che si affretta a disporre sul pavimento, più o meno attorno a un cerchio immaginario.

10 candele. Si siede al centro del cerchio e le candele si accendono.

L'incantesimo è semplice e quando le fiammelle lasciano la stanza il buio è totale.

Baron Samedì si avvia verso la porta, la apre e sbuca nel corridoio stretto di una locanda, dal soffitto basso, a cassettoni, illuminato da candele. La parte superiore d'intonaco scrostato, la parte inferiore legno a doghe.

Raggiunge velocemente una scala e scende al piano inferiore, dove in una sala comune chissà quanto grande, piena delle creature più incredibili è in atto quella che non può essere altro che una veglia.

- Bene – si passa la lingua sulle labbra riarse. - Cazzo, mi ci scapperà un bicchierino, prima di continuare. -

 

Un mondo magico. Uno dei molti.

L'intero mondo è un infinito bosco ceduo, un bosco come solo in una Midgard del mito, mai esistita se non nel ricordo o nella terra dei sogni, potrebbe trovar posto.

Ma questo mondo non è pieno che della volontà del suo unico abitante. È il mondo ideale.

Il colossale lupo corre a perdifiato, accompagnato da un giovane principe.

- Devi ritornare dal tuo popolo. Combattono per la vita, per la loro terra, per non essere scacciati dai boschi del regno dorato e combattono soli. Tu non hai conflitti insolubili con gli Asi, puoi andare e tornare quando vuoi. Torna dal tuo popolo. -

 

Da qualche parte nell'assolato sud. Notte

Johnny Blaze corre nella notte con la sua moto. Corre nel deserto. La notte nel deserto dell'Arizona può essere gelida e pericolosa e la pista tende a sparire alla luce del faro della moto.

Più volte è stato tentato di innescare la trasformazione ma non si fida del suo ospite. Nulla e nessuno lo mette al sicuro dal perdere il controllo, non essere più se stesso.

Corre nella notte scansando piccoli cespugli che si aggrappano alla vita in quella landa desolata, sassi, minimi ostacoli che in un terreno come quello possono provocare una caduta. La corsa lo esalta, è nato per questo. Ma non è per questo che corre. C'è un richiamo impellente che lo spinge. Irresistibile eppure ai margini della percezione.

Poi un animale attraversa la sua strada. Veloce, quasi sfuggente. Non sa dire di che si tratti. Un coyote o un caprone gigantesco o una qualche manticora.

Al buio è impossibile stabilirlo.

L'istinto ha il sopravvento, scarta, la gomma scivola in una buca di sabbia e cade rovinosamente.

È ben addestrato e rotola, riduce il danno evitando ferite gravi.

Ma la moto è inservibile. Evita ancora di trasformarsi, si guarda intorno. Una luce in lontananza, vale la pena rischiare.

Si avvia a piedi. La distanza è minore, rispetto a quello che sembrava in un primo momento ma quando si trova davanti il luogo da cui proviene la luce per un momento è spiazzato. Un antico pub inglese in legno. Per un istante solo. Scuote la testa, la botta deve essere stata più forte di quanto sembri. Davanti a lui c'è una cosa che è poco più di una baracca nel deserto, un po' simile a tanti bar con distributore che si vedono nei film.

Sopra alla porta, una classica porta a due ante basculanti da saloon, una tavola mal inchiodata. Una casetta in precario equilibrio sul bordo di un dirupo e la scritta Worlds' end, a free house.

Dall'interno giungono le voci di una sala gremita, benché all'esterno non sembrino esserci veicoli.

Si è gettato in fauci ben più inquietanti. Johnny Blaze varca la soglia senza esitazioni.

E resta inchiodato all'ingresso, perché all'interno non c'è mascheramento. Una stanza che sembra piccola e fumosa è stipata all'inverosimile. Individui i più improbabili si voltano verso di lui, due tizi in abiti che ricordano quelli di becchini del passato, dalle facce che sembrano più cadaveriche di quelle dei loro clienti. Due creature esili, dalle orecchie appuntite, ricoperte a sprazzi da aspetti ben più imponenti e prosperosi, quasi fossero abiti. Un centauro che esce da dietro il bancone.

Poi la sua attenzione viene attirata da un individuo che potrebbe sembrare Fratello Voodoo, non fosse per il capello a cilindro e il frac che ricoprono il suo costume.

Agita un colossale boccale di birra e lo invita a sedersi al suo tavolo.

- Sei il primo, mi sa che l'attesa non sarà breve. Prendi qualcosa da bere? -

- No, grazie. Non bevo. -

- Ma non beve nessuno in questo universo? Sono tentato di lasciarlo andare in malora. -

Poi tra un barbaro con l'elmo cornuto e un berretto alla Arzac spunta un vecchietto appoggiato a un bastone, che indossa sandali giapponesi di paglia e un kimono verde troppo grande per lui.

Dietro le spalle un cappello di paglia anche esso, ed anche esso troppo grande.

Il tutto sotto una testa perfettamente rasata, incorniciata da spesse sopracciglia bianche e una barbetta caprina ad allungare il mento. Ed un sorriso fin troppo enfatizzato. Che svanisce non appena vede il Baron Samedì. Si avvicina, strappa il boccale dalle mani del “cavallo” e trangugia un abbondante sorso di birra spessa e scura.

- Spero tu abbia una buona motivazione per questo richiamo. Ero impegnato e questo luogo, sebbene stimolante, non è mai facile da raggiungere indenni. -

Gomurr l'antico si siede, agguantando un altro boccale dal vassoio di una procace cameriera.

Da dietro a un elfo visibilmente ubriaco che arringa una piccola folla, aggirando un colossale barbaro dai lunghi capelli neri e una scimmia con un colapasta come elmo si avvicina una donna anziana. Le rughe sul volto, i capelli bianchi raccolti, il vestito puritano, uscito da american gothic in contrasto con la posizione eretta e la sensazione di estrema forza fanno pensare che la sua età sia minore di quanto appaia. Ma anche questa potrebbe essere una sensazione ingannevole, soprattutto in questo luogo.

Agatha Harkness si siede davanti a una tazza di te che nessuno sa come sia arrivata sul tavolo.

Un colossale gatto nero in ottima salute sta leccando del latte da un piatto di legno.

Non dice nulla. Ma guarda prima Samedì, poi Johnny, poi Gomurr come se stesse scrutando nel profondo delle loro anime. Tutte le loro anime e in tutti i loro corpi ne convivono più d'una.

- Una strana notte per incontrarsi, dio dei morti, e uno strano luogo. Mi auguro che sia per una buona ragione o scoprirai che anche il potere di un dio può essere insufficiente a mettere al riparo dall'ira della mia specie. -

L'uomo che ha parlato, interrompendo lo sfogo di rabbia di un colossale uomo gatto che rimane come gelato fino a che non si è allontanato dal suo tavolo è alto, rosso di capelli, con due ciuffi ribelli che insistono a rizzarsi sul davanti.

Indossa dei pantaloni rossi e sul petto nudo ha una visibile cicatrice circolare con iscritta una stella a cinque punte.

Il chiacchiericcio nella sala è appena ricominciato che un gelo ancora più profondo blocca nuovamente tutti quando parla una donna, anche lei dai capelli rossi, lunghi. Indossa una calzamaglia che termina in stivaletti alla pirata di pelle d'agnello (la simbologia, per quanto un po' infantile, è trasparente). La parte superiore più che coprire sottolinea la nudità.

- Perdonate mio fratello, ha un modo di trattare con i mortali che aiuta a far fallire i suoi piani. Credo lo faccia per distinguersi dalle modalità subdole e tentatrici di nostro padre. -

Satana Hellstrom accarezza il volto del Barone con un gesto estremamente lascivo e, per qualche motivo, questo sembra a tutti un gesto molto più minaccioso delle parole del fratello.

Le guance di Samedì vengono nuovamente accarezzate da mani femminili, brunite seppur non scure come la pelle di Jericho Drumm, e una voce suadente e cantilenante intona una frase che è quasi un canto. - Oh che tristezza padron Guede, che tu mi abbia preferito un altro per questo compito. -

Marie Laveau getta un'occhiata minacciosa ai fratelli Hellstrom e si siede.

È opinione condivisa che la locanda non si possa raggiungere intenzionalmente, si trova, vi si viene a volte invitati. Di certo non vi si entra con mezzi magici, quasi mai per lo meno. Perciò quando un disco bianco si materializza sul pavimento e man mano che si alza verso il soffitto lascia al suo posto una giovane bionda, completamente coperta da un'armatura d'argento con due minuscole corna sulla fronte tutti trattengono il fiato. Per un attimo, quando si volta a salutare i due semi-demoni sembra che il suo volto si trasformi orrendamente e che una lingua biforcuta saetti fuori dalla sua bocca. Ma è un attimo e in quel luogo la realtà è sempre incerta, così come il suo ricordo.

Ma l'attenzione viene rapidamente distratta da Illyana Nikolaievna Rasputina, quando il portone della locanda si spalanca e lottando contro un vento violento che sembra risucchiarlo all'esterno entra un giovane dai capelli bianchi, lunghi, quasi completamente coperto da un manto verde e una leggera cotta di maglia.

Un oggetto leggero e quasi rituale.

Ma si sa, nel periodo in cui è cresciuto la magia elfica era ancora forte nel mondo e gli elfi temono il freddo ferroi.

Si siede muto, il cappuccio ancora alzato e gli occhi fissi sul Barone.

Ed infine entra un colosso verde, nudo, gli zoccoli rimbombano sul pavimento di pietra e le corna sfiorano il soffitto, anche se cammina curvo. La voce di Rintrah, l'ex mago supremo, non la rappresentazione della giusta ira del profeta, risuona nella sala, malgrado il suo tentativo di sussurrare. - Bene, Barone, siamo tutti qui. Per quale ragione ci hai convocati e perché qui. -

- Sul perché qui – Chirone, il centauro si avvicina al gruppo – credo di potervi rispondere io. Perché io vivo qui in attesa che un altro dei miei molti allievi superi una prova che, diciamo così, si è autoimposto. - Si volta verso il “cavallo” - sul perché, devo ammettere, sono molto curioso anche io. -

Il Baron Samedì si alza, scola il suo ennesimo boccale di birra forte, muove un passo barcollante.

- Per costruire un guinzaglio, si può dire -

 

Un luogo fra i mondi, dove il mito si congiunge col reale.
Il vagabondo, vecchio e lacero, arranca nella strada polverosa. La città è vecchia, vecchia ben oltre la creazione del mondo. Era vecchia ai tempi degli antichi dei e qualche strano angolo fa pensare che almeno in parte esisteva già ai tempi dei grandi antichi. Quelli che alcuni chiamano le creature dai molti angoli. Cacciati dal mondo ere fa. Il cosmo è stato ricreato più volte da allora, anche per tenerli fuori.
Non hanno mai smesso di cercare una porta per rientrare.
Ma non è questo che ci interessa ora. Il vecchio è qui per altri motivi, c'è stato un bando, uno di quei bandi che si credono esistere solo nelle favole.
Il principino è malato. Nessuno riesce a trovare una cura, anzi, alcuni di coloro che hanno provato a curarlo hanno fatto una fine terribile, i più fortunati sono morti, alcuni sono impazziti, altri sembrano del tutto svuotati di tutto ciò che è vita e restano cadaveri animati, corpi apparentemente in perfetta salute ma terribilmente pericolosi per gli altri.
Ora, più diventa esoso curare un uomo, più si tende ad abbandonarlo. A meno che non sia re. In quel caso aumenta la ricompensa per chi lo cura.
Il vecchio vagabondo è qui per la ricompensa, non scherzo. L'interpreterà letteralmente ma è qui per la ricompensa.
Questo non interromperà la sua cerca, io non mi rilasserei.
Nessuno lo ferma sulla strada per la reggia, questo è indicativo. Ma la fila, almeno la fila degli aspiranti dovrà fermarlo!
Stranamente la fila, per altro non lunga, oggi è finita presto. L'ultimo aspirante è da poco entrato.
Il vecchio arriva davanti alla porta pochi istanti prima che un terribile urlo agghiacci tutti. Voce umana non dovrebbe emettere tali suoni. Non che siano umani gli abitanti di queste lande, ma ci siamo capiti.
Il meccanismo è ben rodato. Non passa molto tempo che due colossi armati arrivino a verificare se c'è qualche altro sedicente medico, stregone, filosofo o chierico.
Davanti alla porta c'è uno straccione ma le loro istruzioni sono chiare. Uno avanti e uno dietro lo scortano. La stanza è chiaramente diversa. Non tanto perché il malato si trova su un letto a ruote. Non tanto per il trambusto che arriva dall'altra parte del corridoio. Ma c'è un che di sano, in questa sala.
Il vecchio non alza lo sguardo. Disegna alcune rune, accende un po' di erbe, soffia in giro il fumo. Il giovane sul letto è cianotico. Urla, il colorito diviene un po' più chiaro e per la prima volta da tempo si addormenta. Un sonno agitato, ma dorme.
Ma il vecchio non è contento. 
Si alza, fa segno ai due soldati di seguirlo. Scambia qualche parola con coloro che sorvegliano il ragazzo.
Poi esce.
Per un attimo chi lo osserva ha come l'impressione che la sua forma si oscuri, agita una mano, come scacciando un insetto e quell'attimo passa. Ma il suo passo incespica.
Si avvia, poi, per la strada principale della città.
I soldati lo seguono, più per accertarsi che non scappi (in fondo ha operato sul principe) che per via dei suoi ordini.
Non potrebbe essere altrimenti: è un mendicante, uno straccione. 
Anche se è strano che a questo punto nessuno sospetti altrimenti, i travestimenti migliori hanno molti strati e il narratore influenza la storia. E per non obbedirgli hanno dovuto operare a livello cosciente, i loro corpi si stavano già muovendo, come d'istinto.
Il vecchio avanza deciso per le strade della città. Non zoppica più, non ne ha il tempo, ma le poche volte che il vento fa oscillare il cappuccio si vede che il volto è sfigurato e manca di un occhio e il suo passo deciso non è regolare.
In un altro contesto sembrerebbe quasi qualcuno costretto a superare ostacoli ripetuti. Ma non c'è nulla sul suo cammino, solo inciampi, deviazioni, rallentamenti ingiustificati.
I soldati (sono ormai una ventina) che lo seguono, invece, sono molto più concentrati a dominare un insano e immotivato terrore che a notare il comportamento quanto meno originale del loro “protetto”.
Se fossero più attenti noterebbero che quando il vecchio sembra abbattere un ostacolo, superare un inciampo il loro terrore, per un attimo, scema.
Lentamente arrivano a una chiesa. Apparentemente abbandonata, le porte socchiuse piene di ragnatele.
Ma un osservatore più attento noterebbe che sono ragnatele recenti, non vi è polvere su di esse.
Il vecchio abbatte la porta. Prova a spingere i battenti socchiusi, ma essi non si spostano di un millimetro. Non importa la forza che egli esercita. Non si muovono. Questo fino a che la forza non è superiore alla loro resistenza e si infrangono. In realtà il vecchio li ha piegati verso una direzione che non possono percorrere, ma la questione rimane accademica. Il risultato è quello che conta e il risultato è che il portale si infrange e il manipolo può entrare.
Tutte le porte interne sono aperte e danno sulla navata centrale che è fantasmagorica. Malgrado l'aspetto abbandonato dall'esterno non v'è polvere sui banchi, l'altare, il pulpito a forma di clessidra e il sovrastante paracielo, ma gigantesche ragnatele sono tese fra gli archi e la colonne goticheggianti.
Dai finestroni dell'abside filtrano i raggi del giorno morente, ma scuri, come se attraversassero dei vetri anneriti dal fumo. Lo stesso accade dal portale fracassato.
I finestroni, per lo più convenzionali, mostrano facce discutibili, non certo di santi o dei benevoli. Una mostra addirittura solo una zona nera circondata da spirali singolarmente luminose e sopra l'altare campeggia una ankh distorta.
Ma da dietro le porte aperte, armati alla bell'e meglio, ma tutti armati, sciama un gruppo variegato e nutrito di cultisti.
Tutti si muovono a scatti, come fossero sotto l'effetto di qualche strana sostanza o il dominio di qualche spaventosa creatura e tutti sono, chi più chi meno, coperti di sangue e ferite, per lo più superficiali. A giudicare dalle condizioni delle loro armi arrossate, auto-inferte.
La battaglia è breve ma intensa e il pavimento si copre presto di cadaveri. Il vecchio è all'avanguardia, disarmato. Eppure spazza via i suoi avversari che raramente si rialzano. Gli altri trovano più difficoltà. I loro antagonisti cadono difficilmente, anche se orrendamente mutilati e anche una ferita mortale non li ferma che dopo parecchio tempo.
Malgrado ciò i soldati sono anche guerrieri valenti (e la cosa non è mai automatica) e quindi la battaglia è vinta con perdite minime e gli avversari, apparentemente invincibili sbaragliati.
In una stanza sul retro trovano un tavolo e scaffali carichi di libri. Qui il vecchio ha un attimo di esitazione, riconosce alcuni titoli, anche se la pesante penombra non li fa distinguere fino in fondo.

Necr...n, Liber I...nis, Culte...ules, Unaussprechliche..., De Vermis qualcosa, M... ...nakotici, Libro di Dzy..., ed altro. Il vecchio alza il mantello e al riabbassarsi alcuni dei volumi, presumibilmente quelli di un qualche valore o pericolo, sono svaniti.

Tornano indietro fino all'ingresso. Nel vestibolo si apre una porta e dietro di essa una scala che sale, apparentemente verso la torre, forse un campanile.

Salgono in fila indiana. La salita è ardua perché la stretta scala di legno è formata da gradini alti e stretti e lo spazio è incredibilmente soffocante.

Raggiunta la cima della scala vede che la cella è stata adibita a scopi di culto.

Il quadrato, di circa cinque metri, è fiocamente illuminato dal tramonto. Scuri di legni leggermente scostati e robusti schermi di legno a rinforzo, per chiudere ancor più la luce quando serve.

Al centro del pavimento un pilastro di pietra squadrato in forma inusuale, alto un metro circa e coperto di strane figure o iscrizioni.

Anche la scatola di metallo sul pilastro è asimmetrica nella forma, con all'interno un poliedro nerastro, striato di rosso, con molte facce irregolari; una specie di cristallo naturale molto insolito, oppure un minerale sagomato e sfaccettato artificialmente.
Attorno al pilastro sette seggi e contro le pareti sette colossali statue di gesso dipinte di nero.
Una botola sul soffitto, chiusa e una serie di pioli di legno che formano una rudimentale scala per salirvi.
Il vecchio studia attentamente i mostri e gli strani adoratori incisi sulla scatola metallica ma sta attento a non fissare la strana pietra.
Poi passa ad osservare le incredibili creature rappresentate dalle statue. In parte ricordano le teste dell'isola di Pasqua, ma solo in parte.
Ma il vecchio ha perso tempo ed è stato incauto. Mentre lui osservava in giro uno dei soldati si è perso ad ammirare il trapezoedro e gli orribili segreti che si scorgono nei suoi abissi. Le promesse sibilanti di coloro che abitano gli universi che lo hanno generato e che un tempo abitavano anche il nostro universo.
Un altro si avventura su per la scala per esplorare la guglia oscura che sovrasta la torre.
Gli schermi di legno scattano al loro posto, la stanza perde anche la poca luce che vi entrava. Un urlo, suono di ossa spezzate, alcuni lampi. A terra ci sono i cadaveri scomposti di tutti i soldati, il vagabondo è stato scagliato contro la parete e un tentacolo di tenebra avanza verso di lui per finirlo.
La cosa che striscia fuori della botola è più oscura del buio, ma è anche la vista del vagabondo che è straordinaria e può vedere cose che gli umani non possono.
La cosa è affamata, è sempre affamata, ma la morte non è il suo nutrimento preferito. Se non pensasse di doversi difendere non attaccherebbe con tanta violenza e preferirebbe portare alla pazzia il vecchio.
Ma anche la creatura vede cose che gli occhi umani sfuggono.
Prima che il tentacolo lo raggiunga, incurante dell'orrendo fetore, il vecchio si scaglia a mani nude contro la creatura.
Ora che è preparato le folgori che emette il corpo oscuro lo lasciano quasi indifferente. Non lo colpiscono più. Ma la creatura non demorde. È una massa di tentacoli e ali e i tentacoli si protendono a soffocare il vecchio.
Un colossale pugno affonda nella creatura, come in una massa liquida, ma la massa oscura viene scagliata contro la parete.
Il vagabondo si butta sul pilastro di pietra e chiude la scatola di metallo, che svanisce nella sua veste.
Poi si volta verso la creatura. Avatar di una divinità esterna la cui potenza è incommensurabile, ma comunque avatar e di una creatura che viene da un universo assolutamente estraneo a questo.
L'occhio dei dio mascherato scintilla di potere e già questo basta a far arretrare il mostro.
Quando la scarica di potenza concentrata brilla nella stanza la creatura arretra lungo direzioni inimmaginabili e svanisce. Ma la scarica lo colpisce e la creatura porterà per sempre la cicatrice di questo incontro.
Il vecchio si guarda attorno. Solo distruzione ma il tempio è ancora sostanzialmente intero.
Fuori, alla luce di torce e falò c'è una piccola folla, attirata dai rumori della battaglia.
Il vecchio si dirige verso i capi di questa città, avvicinatisi malgrado quelli del loro lignaggio, per lo più, rifuggano i luoghi pericolosi.
- Il pericolo dovrebbe essere scacciato e ho rimosso tutti gli strumenti per richiamarlo. Ma, una volta portati via i corpi dei vostri caduti, vi conviene liberarvi dell'edificio. Col fuoco. Ed agite di giorno. -
Un dignitario, timidamente, accenna: - Ed in proposito alla ricompensa... -
- Ho già quello che cercavo, non credo di aver bisogno d'altro. - e si allontana nella notte.
Tre corvi vanno a posarsi sulle sue spalle e più d'uno, in seguito, giurerà di aver sentito nitriti e battiti d'ali allontanarsi dal campo di battaglia.
 
Arcadia
Il fanciullo sembra in realtà un adolescente un po' efebico. Per quanto l'aspetto conti poco in questi luoghi (ma non siamo in Faerie, dove i corpi si indossano come vestiti) anche il fatto che se ne vada un giro con una corta toga e sandali leggeri non incoraggia a temerlo.
In realtà il suo aspetto innocuo è la sua miglior protezione, pochi realmente innocui possono accedere a questo regno.
Un tempo questi luoghi facevano parte della terra o al massimo le erano così contigui che spesso non si notava neppure la transizione, ma i mondi si muovono, nulla mai è immobile al centro, neppure il centro stesso.
Quindi il fanciullo non è umano, pochi umani sanno percorrere le strade che portano a questo luogo e nessuno di loro assumerebbe un aspetto innocuo.
Chiunque, dotato di razionalità si approccerebbe al fanciullo secondo valutazioni simili.
In questo luogo, forse più che nel mondo dei mortali, la razionalità è un bene raro e prezioso.

E rare sono, non dubitatene, le creature pronte a cedere alla paura. La paura, quella vera, viene assecondata solo quando un nemico dichiarato è notoriamente più forte, e anche in quel caso solo a volte.

In qualsiasi altra situazione essa cede il posto a orgoglio, stupidità, cupidigia o semplice cattiveria (cioè quel sentimento per cui i deboli sfogano le loro frustrazioni verso i più deboli ancora invece che coalizzandosi contro il loro vero nemico) o a una delle innumerevoli forme di quella che gli umani chiamerebbero follia proprie delle creature che abitano questi luoghi di confine.

Sarà per questo motivo che il fanciullo, poco più che adolescente, cammina con passo svelto e deciso in questa terra incantata e le ninfe, le rare ninfe che osano farsi vedere, lo salutano con larghi sorrisi.
Ma non è una ninfa, né una driade la creatura che chiama il fanciullo a se e poi scappa con passo deciso. Lui la segue senza esitazioni.
Lei entra in una tenda, alcune pelli di capra cucite assieme, ma quando il fanciullo varca la stessa soglia si trova in una pianura diversa, crepuscolare. Un vento freddo percuote il ragazzo seminudo, ma lui non sembra darsene peso. La rada foresta che lo circonda non sembra spezzare il rigore del vento. Non vede più la donna.
Ad un certo punto ha l'impressione di vedere una figura muoversi in lontananza e si avvia in quella direzione.
Non cammina per molto che, i volti tumefatti, le lingue bluastre penzoloni, lo salutano dei cadaveri appesi per il collo. Rivestiti dalle più fantasiose corazze o di pelli mal conciate il loro destino non cambia. I cadaveri non presentano lo stesso grado di consunzione, ma essa non sembra in una qualche rapporto con l'antichità, vera o presunta, del loro abbigliamento.
Presto, continuando a camminare, il fanciullo capisce l'origine di tale massacro. In mezzo alla strada, ritto e deciso, c'è un cavaliere coperto da un'armatura argentata, liscia come uno specchio che riflette tutto ciò che ha attorno.
Il cavaliere non parla, carica. Il ragazzo però con un passo è già oltre e il cavaliere carica il nulla.
Cammina ancora nel bosco. È scesa la notte, repentina. Un attimo prima il sole occhieggiava dietro nubi temporalesche, un attimo dopo il cielo stellato.
Tra gli alberi alcune luci sembrano avanzare. Il giovane si dirige con decisione in quella direzione. Per un attimo rallenta, si volta. Ma niente, prosegue con più decisione.
Davanti a lui un palazzo, un attimo sembra un rudere cadente, un attimo un maniero potente. Poi si stabilizza in un maniero potente, circondato da un ampio fossato, ma un attimo dopo il giovane è dentro, gira per corridoi bui, illuminati da rade e irregolari torce che lasciano ampi spazi di buio.
Vede una luce in fondo a un corridoio. Non una porta, uno specchio. Ma si trova improvvisamente in una sala illuminata da colossali lampadari. Ruote enormi sulle quali sono posizionate migliaia di candele.
Al di sotto di questa cascata di luce ondeggiante centinaia di creature, le più disparate. Ma si tratta di maschere, persone in costume.
Sente che qualcuno gli pone qualcosa sulla testa, si volta nella direzione in cui dovrebbe trovarsi il suo “aggressore” ma vede soltanto, riflesso in uno specchio, un corpo in tunica sormontato da un testa d'asino. Troppo verosimile per essere una maschera. Fa per togliersela, mentre gli specchi svaniscono. Ma la testa sembra vera al tatto e non ha intenzione di staccarsi.
Il giovane non sembra impressionato da questa mossa, non sembra degnarla di attenzione. Si muove, invece, nella direzione in cui aveva intravisto lo specchio.
Ma un tipo alto e distinto, vestito di una marsina damascata d'argento e con capelli bianchi lunghi raccolti in una coda gli si para davanti.
Il salone si riempie di un turbinio d'uccelli, che però deviano il loro volo attorno al ragazzo. Il giovane alza la mano e un vento impetuoso spinge lontano il gentiluomo.
Il ragazzo avanza, l'elfo dai capelli bianchi non si rialza neppure a sedere, alza solo il braccio.
Il salone si riempie di un turbinio di foglie che si incendiano prima di raggiungere il giovane.
Lui non sembra notarlo, si ferma davanti la parete e aguzza lo sguardo. Analizza il muro come se stesse guardando una miniatura. Poi allunga due dita e le appoggia sul muro. Fa l'atto come di forzare i bordi di un foro e lo specchio si allarga sulla parete.
Il gentiluomo fatato fa per alzare la mano per la terza volta ma il giovane fa un passo avanti e svanisce attraverso lo specchio, lungo strade fatate che pochi possono percorrere.
Quando si trova all'interno afferra la testa d'asino, la ruota verso la quarta dimensione spaziale e la sfila, gettandola a terra.
 
Midgard.
Le strade delle città della Terra non sono più sicure dei regni incantati. Spesso, anzi, lo sono di meno.
La giovane donna che cammina di notte nei vicoli dell'Upper East Side non si sente al sicuro. Non perché sia rimasta vittima della campagna di panico che l'intero sistema dei media fomenta da anni a favore di politiche repressive più severe, ma perché conosce il mondo e i suoi equilibri e sa che per quando forte sia la repressione, fino a che ci sarà un così forte squilibrio fra ricchi e poveri ci sarà chi non troverà altro sistema, per vivere, che la forza.
Ma la sua ricerca (o perché negarlo, l'oggetto della sua ricerca) la porta in questi luoghi.
Ha già notato due giovani che la seguono. Ben vestiti e visibilmente sbronzi, più pericolosi del comune ladruncolo di cui parla la tv, poiché consapevoli, almeno in parte, della rete di protezione che li garantisce da tutto, tranne che, al limite, dallo scandalo.
La donna potrebbe essere un'esca. In questi luoghi si aggirano cacciatori ben più esperti di questi due giovani sbronzi e viziati.
Ma l'uomo alto e ben vestito che piomba sui due non ha bisogno di esche.
Il primo di trova con parte del cranio sfondato, il secondo muore più lentamente, con i denti affondati nel collo.
Poi volge la sua attenzione alla donna. Sazio delle sue vittime, che sceglie con cura per amministrare il senso di colpa connesso alle sue esigenze di nutrimento, è abituato a veder fuggire urlando le persone, per lo più donne, che salva.
Questa donna, invece, è lì ferma, immobile, ma non inchiodata dal terrore.
I due mettono in campo i rispettivi poteri di fascinazione e quando si muovono non è chiaro chi ha prevalso.
Camminano a braccetto, una coppia ricca e soddisfatta in uno dei quartieri più lussuosi del mondo. Ad un certo punto l'uomo si ferma, fa qualche movimento con le dita, mormora qualche parola e davanti a loro c'è il portone d'ingresso di una palazzina che non avevano notato prima. Non che non ci fosse, non appare dal nulla. Non aveva un altro aspetto. Semplicemente non l'avevano notata.
I due entrano. Le scalinate che partono dall'ingresso sembrano salire ad angoli impossibili ma loro preferiscono infilarsi in una porticina a lato.
Qui, in una piccola biblioteca, sono stipati solo manoscritti, rilegati a mano. Quasi nessuno sembra vivo.
La donna bacia il vampiro (perché avevate capito tutti che è un vampiro, vero?) che crolla a terra, un'espressione estasiata sul volto.
Su questo mondo quasi chiunque abbastanza colto da sapere che questi libri possono esistere ucciderebbe pur di poterne guardare uno per pochi secondi.
La donna li scorre uno dopo l'altro con un'espressione scocciata. Trova un foglietto all'interno di un piccolo libretto, ne scorre le rune stinte con interesse. Sorride.
Poi esce

Un parco di New Yorkii

Loki e l'Uomo Assorbente si materializzano in mezzo al sentiero del parco. Due adolescenti in tuta quasi li investono. Non li vedono, dal loro punto di vista davanti a loro c'è un mostruoso energumeno.

Una piccola maschera.

Quando Loki inizia a usare le sue maschere c'è sempre da temere qualche inganno particolarmente doloroso.

Per evitare l'impatto una delle ragazze cade a terra, impietrita. L'altra urla e scappa.

Al chiosco stanno seduti Cannonball e Mirage dei Giovani Mutanti. Ma no, in quest'epoca si chiamano X-Force. È sempre un problema star dietro ai gruppi mutanti.

D'istinto si precipitano in soccorso. Samuel spicca il volo, Dany crea arco e frecce psioniche. Poi esita, grida – Sam, fermati!! No!!! -

L'Uomo Assorbente, che Sam percepisce come un mostro grottesco, colpisce il mutante con tutta la sua forza potenziata dalla barra magica del Devastatore respingendolo e facendolo precipitare a terra.

Il tempo, dentro la bolla deformante dell'illusione lanciata da Loki, scorre in maniera diversa. Dany lo percepisce coi suoi sensi da valchiria.

- Cosa vuoi, principe degli inganni? Perché attacchi me e i miei amici? -

- Ad essere formali voi avete attaccato noi, non appena siamo apparsi, in virtù della reazione sconsiderata di due giovani mortali al nostro aspetto non del tutto ordinario. Non che mi sorprenda che voi mortali siate affrettati nel giudizio e prevenuti contro chiunque non vi sia uguale anche nell'aspetto. Ma non sono qui per discutere delle tendenze distruttive e del razzismo della tua specie. Ho l'incarico di chiamare a raccolta ogni forza che Asgard possa richiamare per una lotta che serve a salvare il mondo così come lo conosciamo. E, per una volta, svolgo un ruolo conservatore dello status quo, anche se la cosa sorprende più me che te. - guarda la mutante poi – Ma ci servi in tutto il tuo potere e vedo che non hai accesso a una parte considerevole di esso -

Muove le mani, si avverte un flusso di energie arcane e attorno a Danielle inizia l'emanazione di una strana energia.

L’energia quantica che Danielle poteva controllare è nuovamente apparsa.

Poi l'Uomo Assorbente afferra la ragazza per un braccio e in un lampo e un'onda d'urto i tre svaniscono, portandosi dietro un piccolo sovrappiùiii, perché mai si dica che Loki ha camminato tra i mortali senza apportare un cambiamento.

 

Regno di Agamotto. Da qualche parte nel multiverso.

Anche per una creatura come Agamotto la concessione chiesta da Ananse non è questione semplice. L'entità magica e il dio delle storie sono impegnati da tempo immemore nei loro rituali. Certo qui il tempo non scorre come nel nostro mondo. È più un luogo dell'anima e un istante può equivalere a molti dei nostri millenni, mentre l'era successiva può trascorrere in quelli che per noi sono pochi secondi.

Ma il trasferimento di potere è quasi finito e una piccola parte dell'energia di chi può combattere da pari Galactus è confluita nel dio.

La trasformazione non è stabile né permanente ma al momento il ragnetto nero può combattere da una posizione di predominio qualsiasi dio sovrano. Il prezzo sarà grande ma difficile da esigere. Ananse non è conosciuto come uno che onora volentieri o letteralmente i patti.

Il dio salta verso una battaglia quali poche se ne sono viste anche nei piani divini. Fra poco (o molto, a volte queste battaglie durano eoni interi) l'universo sarà mutato e l'equilibrio dei poteri non sarà mai più lo stesso.

 

In una saletta molto segreta nella locanda fra i mondi.

Anche questo incantesimo è giunto alla fine. Le tredici forze che compongono questo cerchio hanno impegnato tutto il loro potere per forgiare in poco tempo la loro arma. L'arma sembra più che altro l'impugnatura di una frusta con 8 scudisci. Ma solo pochi centimetri sono visibili oltre l'impugnatura. Il frammento simboleggia il tutto e non di una frusta si tratta.

Passano alcuni istanti poi entrano alcuni elfi con un tavolo e rinfreschi.

Molti di loro si trovano in questo posto per la sospensione del reale che sempre accompagna eventi escatologici di portata rilevante. Vogliono dare una mano come possono.

Fratello Voodoo/Papa Guede si rivolge agli altri, tra un boccale e l'altro di rum forte. - Bene, l'oggetto è forgiato, non credo sia il caso di esitare nell'usarlo. Se funziona avrò fra le mani un'arma senza pari. Altrimenti potremmo dover combattere una battaglia quale raramente abbiamo partecipato. Quindi attenderò di essere giunto a destinazione, prima di usarlo. Chi può e vuole accompagnarmi in questa impresa?

- Certo. - Johnny Blaze non c'è più, al suo posto il teschio infuocato di Ghost.

Gomurr l'antico è già svanito, preso dai suoi innumerevoli impegni o dimenticatosi del posto in cui si trovava. Chi può saperlo?

Agatha Harkness è spossata. Il suo considerevole potere non è più sostenuto da un corpo in grado di riprendersi con prontezza e cerca più volte di parlare prima di rassegnarsi e allungare la mano verso un bicchierino di cordiale che un elfo, gentilmente, le porge. - Non posso. Con rammarico non posso aiutarti ulteriormente in questo frangente. Mi spiace. -

- Aiutarti ancora? Ti ho aiutato in quest'impresa perché sapevo che avrebbe irritato mio padre e danneggiato i suoi interessi. Ma questa guerra fra dei mi è indifferente e non metterò a repentaglio né me né i miei associati per parteciparvi. Ricorda solo il debito che hai con me per questo oggetto, tornerò a riscuoterlo, quando ne avrò bisogno. - Detto ciò Daimon Hellstrom si avvia a passo sostenuto verso l'uscita seguito dalla sorella che non riesce a smettere di ridere.

- Sono con te Guede, come sempre la mia fede è incrollabile. - detto ciò Marie Laveau scola un boccale di rum come fosse acqua e ride.

Magik si limita ad annuire e il suo aspetto cambia leggermente, è più demoniaca ora e la sua armatura la copre totalmente.

Modred esita. Porta un potere estremamente grande e non sa ancora usarlo. Ma poi annuisce anche lui.

Rintrah si alza – Andiamo, allora. Non c'è un attimo da esitare. -

L'ultimo è Chirone – Vengo da un lontano futuro e il mio io passato si troverà già su questo campo di battaglia. Non è sano che io lo raggiunga. In bocca al lupo, amici miei. - detto ciò si avvia alla porta e la apre. Essa da sulla pianura deserta davanti alla fortezza degli dei egizi. Una piramide grande come un mondo. I due eserciti si stanno già schierando

I sei varcano la porta e si trovano nella sabbia. Baron Samedì impugna l'arma e l'attiva con una frazione del suo potere e davanti a lui, collegati al guinzaglio magico da un sottile filamento luminoso compaiono gli otto esemplari, immobili, per il momento.

 

Midgard, sul confine tra questo mondo e uno contiguo.

L'Osservatore è invisibile, ma i sensi dei tre dei che stanno compiendo questa ricerca sono estremamente sensibili e si voltano più volte da questa parte. Si spostano più volte, mentre discutono, apparentemente troppo lontani per essere sentiti. Ma chi sa quanto sono sensibili, invece, i sensi degli Osservatori?

Odino da ora le spalle all'Osservatore, Freya gli sta accanto. Hanno ancora i loro aspetti mascherati. Ma qui nessuno può essere ingannato dalle maschere del Vagabondo e della Signora. Dioniso, il Fanciullo, è sparito dietro la mole del Vagabondo.

Odino tira fuori il cristallo, Freya la piccola pergamena. Non sembra neppure leggerla. Parlano entrambi per alcuni secondi. Non parlano, stanno tessendo un incantesimo. Poi si voltano. Ma non è l'Osservatore che guardano, anche lui si è voltato. Guardano me, hanno rotto la protezione della quarta parete. Hanno compreso che mi nascondevo dietro il ruolo del narratore della storia. Mi giro per fuggire, non voglio essere coinvolto e capisco che non guardavano soltanto me. Il Fanciullo non era nascosto dietro la mole di Odino per caso. Dioniso mi afferra per un braccio e blocca ogni mio potere.

- Oðr, è stato divertente darti la caccia. Anche se uscire dalle strade tra gli specchi non è cosa agevole neppure per un dio. Ma abbiamo urgenza e bisogno dei tuoi poteri. -

- Ho le mie ragioni per non farmi trovare, soprattutto da voi. E non combatterò per voi, né per voi né per ... -

Odino l'interrompe. - Infatti l'idea è un'altra. -

 

Davanti alla città degli dei egizi.

Due eserciti colossali già si fronteggiano.

Improvvisamente il frastuono degli eserciti che si accingono alla lotta viene sovrastato dalle prime note di un canto.

La voce di Oðr, il dio dell'estasi poetica, il dio degli scaldi e della poesia ispirata.

Narra la gloria della battaglia, l'eccitazione dello scontro, la morte, il lutto e il dolore dei sopravvissuti. La miseria e la fame sia tra i vinti che tra i vincitori. Narra la guerra vista dal punto di vista delle vittime. È un canto colmo del potere dell'estasi, un'esperienza più vera del vero e a nessuno resta il gusto della battaglia e gli dei nulla possono senza volontà.

 

Quando, diversi minuti dopo la fine del canto, sulla piana qualcuno comincia a riscuotersi ci si avvia a formare delegazioni per trattare.

 

fine

 

i E qualcuno provi a dire che questa spiegazione del perché un mago debba viaggiare con una cotta di maglia integrale non è geniale, quanto del tutto gratuita.

iiQuesta scena si svolge su X-Force numero 1 del buon Luca. Un po' di tempo fa.

iiiUn nonpremio a chi indovina per primo cosa. Gli altri vadano a rileggersi X-Force numero 1.